Il Burundi ha ripreso le ostilità dal 17 aprile, quando le Fnl hanno lanciato un’offensiva su Bujumbura e quattro province del Paese. Questi combattimenti hanno fatto più di 120 morti, secondo fonti ufficiali.
«È la prima volta in cui è posta la firma su una dichiarazione di cessate-il-fuoco», ha sottolineato Pasteaur Habimana, portavoce del Partito per la Liberazione del Popolo Hutu-Fnl, «e questo per noi del Palipehutu-Fnl significa che le ostilità sono cessate per sempre».
Il più ‘vecchio’ tra i gruppi insurrezionali hutu del Burundi, nato all’inizio degli anni Settanta, era l’unico rimasto in armi contro il governo centrale, dopo gli accordi di pace del 2003 che di fatto misero fine al conflitto nella maggior parte del Paese africano. Il movimento dissidente, attivo soprattutto nella capitale Bujumbura e dintorni, aveva fino a oggi rifiutato il dialogo: l’ultima intesa, risalente al 2006, fu infatti violata quasi immediatamente.
Rifiutata dai ribelli anche la mediazione dell’Onu, che cinque anni fa inviò in Burundi una forza di pace per appoggiare la riconciliazione e assistere la popolazione civile. A strappare il consenso degli insorti e a far aprire un nuovo capitolo nel processo di pace burundese è stato, per parte governativa, il generale Evariste Ndayshimiye, uomo fidato del presidente Pierre Nkurunziza, eletto nell’agosto 2005.