Questo articolo di Riccardo Bianchi, pubblicato da Vita, il non profit magazine, nel numero in edicola da oggi, denuncia la violazione dell’embargo da parte di imprese del Belpaese che solo nel biennio 2004ì05 hanno venduto armamenti per 249mila dollari al regime di Bashir. Lo stesso regime accusato del genocidio in Darfur. Pubblichiamo l’articolo per gentile concessione di Vita.
Qualche settimana fa una nave piena di armi è stata assaltata nel Mar Rosso dai pirati somali, che vi hanno trovato lanciagranate e munizioni di fabbricazione russa. Secondo il portavoce dei dirottatori il carico era diretto in Sudan via Nairobi. Ma le autorità keniote hanno subito smentito. Era normale che lo facessero, dato che dal 2004 un embargo delle Nazioni Unite vieta a
L’Italia compare nel novero dei Paesi che invece hanno smentito i traffici sotto embargo. I numeri di Hrf parlano di 294.094 dollari di armi per il biennio 2004-05, in gran parte pistole e cartucce. È possibile che questi materiali fossero in realtà diretti in un altro Paese che poi li ha girati al Sudan. Una possibilità ammessa da Hrf e anche da Francesco Terreri, giornalista dell’Adige che sulla faccenda indaga da tempo. Ma ciò non rende meno preoccupante la notizia: «Si tratta soprattutto di armi leggere», commenta Riccardo Noury, portavoce di Amnesty Italia, «le più usate dai miliziani filogovernativi che quotidianamente devastano i villaggi del Darfur, come i Janjaweed». Il fatto che l’embargo, votato dal Consiglio di sicurezza Onu, non sia rispettato proprio da due Stati con un seggio permanente dimostra l’inutilità del provvedimento: «Noi chiediamo da tempo una risoluzione che vieti il commercio di armi con chi viola i diritti umani», continua Noury. «Solo una decisione presa da tutte le nazioni in assemblea può influenzare le superpotenze, che si sentirebbero maggiormente sotto controllo». Un’altra soluzione è la tracciabilità delle armi «come per i prodotti alimentari», afferma Francesco Vignarca, della Rete italiana per il disarmo, «così da poterne conoscere le origini e i vari Paesi da cui sono passate». E al governo italiano Human Rights First lancia una richiesta: capire chi sono i Paesi terzi che rivendono le armi al Sudan, in modo da interrompere i rapporti commerciali con essi. Ed evitare altri “incidenti”.