Il nome Cameroun lo si deve ai commercianti portoghesi. Nel 1472 le caravelle del
navigatore portoghese Fernando Po gettano l’ancora alla foce del fiume Wouri,
dove oggi sorge Douala, alla confluenza dell’Africa equatoriale con quella
tropicale. Un fiume ricco di gamberi, e perciò denominato “Rio dos camaroes”.
Lo stesso dove passa il lungo ponte con il quale si entra in città. Io sono di
nuovo a Douala. Domani riparto per l’Italia. Il mio viaggio sta per
concludersi. Torno a casa con le valige più leggere, piene solo di abiti
sporchi. Tanta polvere rossa nelle scarpe. Forse cambiato. Di sicuro arricchito
dal contatto ravvicinato con un mondo così diverso dal mio.
A Douala città di mare, di porti, di commerci, di
gente che parte e che arriva, un rumore, un suono, domina su tutti gli altri:
il rombo delle moto, dei moto-taxi. Ci sono 2 milioni di abitanti e 1 milione
di motociclette. Moto-taxi economici, alla portata di tutti. La casa che mi
ospita, in centro, dà su una strada secondaria ma trafficata. Mi sveglia il
rombo di una moto e non un gallo come a Fontem, nei villaggi della foresta
equatoriale. Il rombo è continuo: mmmmm – mmmmmm – mmmmm… Perché ne passa una
dietro l’altra. Nel centro
di Douala ci sono alcuni palazzi più alti degli altri, che qui chiamano
grattacieli anche se sono di 8/10 piani. Il downtown. C’è anche una Borsa
valori, il Douala stock exchange. Ci vendono le materie prime. Il lavoro è il dramma più grande dei camerunesi. Loro vogliono lavorare. Ma non c'è lavoro. Il lavoro c'è solo per chi è legato al clan del presidente Biya. Alla sua famiglia. O per chi conosce qualcuno importante. Per gli altri la vita è tutta in salita. Si continua a studiare. A collezionare lauree su lauree e a sperare in un futuro diverso. Il mio amico Armand mi ha pregato di scrivere che ai camerunesi piace lavorare. Il problema è che il lavoro non c'è. Non c'è neanche in Italia. Ma qui, vi assicuro, è un'altra cosa.
Dietro ai grattacieli si apre il quartiere coloniale. Case basse, tondeggianti, di 2/3
piani, tipiche degli anni Trenta, in stile coloniale francese. I negozi sono
del bazaar disordinati pieni di merci. Armand, il miglior studente che ho avuto
alla scuola di giornalismo, assieme a Marcela di Yaoundé, mi fa da guida. E mi
spiega che i negozi più grandi e moderni sono gestiti da libanesi e pachistani
e arabi di Dubai. Vendono di tutto. Telefonini di ultima generazione marchiati
Nokya, Samsung, tv giganti a schermo piatto. Sono imitazioni cinesi che
arrivano da Dubai e non passano dall’Europa. Costano, ovviamente, meno molto
meno dell’originale. Sulla strada ci sono bancarelle che vendono scarpe e
magliette della nazionale di calcio del Cameroun. I leoni del Cameroun. Hanno
tutte il numero 10 stampato e il nome di Eto’. Chiedono quanto costano un paio
di Nike. Il ragazzo spara una cifra da turista e precisa. “Sono una vera
imitazione, una imitazione originale delle Nike”. Strano. Il quartiere del
mercato di Douala simiglia a quello di un’altra città del Sud del mondo, agli
antipodi da qui, in America Latina. Somiglia a quello di Manaus, nel cuore
dell’Amazzonia. I negozi sono simili. Manaus è forse addirittura più povera di
Douala e ha un’umidit incredibile che supera il 90 per cento. Qui fa caldo. Ma
vicino, oltre le case del quartiere coloniale, c’è l’Oceano. La sera arrivano
la brezza e l’odore del mare. Rio dos camaroes. (17 – segue)