Cinquecento. Trecento, trecento e 50. Il numero dei morti dispersi al largo delle coste della Libia per qualche minuto sfora l'indifferenza mediatica con cui di solito vengono archiviate in redazione (e nelle nostre coscienze) queste notizie tragiche che arrivano dal Mediterraneo.
Centinaia di vite, Centinaia distorie. Senza nome. Senza più futuro. Nessuno può dire con esattezza quanti erano. Di sicuro, attorno ai viaggi della disperazione dei barconi che viaggiano s
Una cosa è certa. L'emergenza dei boat people non verrà superata con i proclami prima del telegiornale della sera. L'unico modo è quello di togliere il controllo delle coste libiche ai militari libici. Come prevede l'accordo firmato con il ministero dell'Interno italiano. Ma non ancora attuato. La stessa cosa è avvenuta in Albania: gli sbarchi dai gommoni sulle coste pugliesi sono cessati solo quando finalmente Tirana ha accettato l'offerta italiana di creare una rete di radar davanti alle loro coste. E da un giorno all'altro, grazie al monitoraggio affidato a Finanza e Marina italiana i gommoni non scappavano più. Ieri il colonnello Gheddafi, presidente di turno dell'Unione africana, faceva il suo tradizionale show al vertice della Lega Araba. Berlusconi si riprendeva dalle fatiche del congresso fondativo del Pdl. Dalle coste di Tripoli partivano i barconi della disperazione. Un viaggio durato poco. Ora si contano i morti. Quelli che non sono già finiti in pasto ai pesci. Quanto bisognerà attendere ancora perché questa emergenza venga davvero affrontata dai nostri politici così impegnati per guardare altrove? Amen.